domenica 23 ottobre 2011

Domani andrò avanti ma oggi mi interrogo

Ultimamente mi interrogo in continuazione su che cosa sarà poi. Sono quei pensieri che emergono con più forza quando lui mi guarda e mi dice "Andiamo a vivere insieme?", sono quei pensieri che ti causano un dolore atroce quando mediti sul fatto che in due avete scelto di seguire il cuore e la passione (ognuno la sua) e non la convenienza, io con storia dell'arte e lui con un dottorato. Quando avremmo potuto scegliere di fare come la maggior parte delle persone e smettere di studiare, abbandonando tutti i nostri sogni di gloria e di cambiare, nel nostro piccolo, il mondo.
Perché, alla fine, siamo due sognatori: di quelli che credono di potersi riscattare, che credono profondamente nel valore della fatica, del sacrificio, del merito e della pazienza. E che amano troppo quello che fanno perché ci credono, profondamente. 
Non riuscire a pensare a un futuro, con un buon margine di sicurezza, non vedere che cosa sarà tra qualche mese, che cosa sarà tra un anno è sconvolgente. Vedere che i programmi che avevo fatto sono sfumati così, in un attimo, per un ritardo di qualche mese, perdere un anno, varrà la pena poi andare avanti?
Ferrara, Palazzo Schifanoia, Aprile (part.)
E se non lo faccio? Se rinuncio per Amore? E se poi me ne pento e divento una di quelle donne inacidite dal rancore?
E se non ce la faccio invece? Se non ce la faccio perché poi mi perdo a fare troppe cose che non mi portano da nessuna parte? Troverò un lavoro? Mi permetterà di mettere da parte due soldi? 
La dignità umana passa per il lavoro, per quanto lui abbia molte più prospettive di me, non riuscirei mai a guardarmi la mattina allo specchio e sapere di essere una mantenuta, nonostante sappia che per lui non sarebbe un problema. Contribuire, anche poco, ma contribuire al sostentamento della famiglia.
Non amo i bambini, non sento alcun orologio biologico, ma se invece un giorno scoprissi di volere un figlio con lui? Come educarlo con i Grandi Valori quando la società ti porta a  discriminare chi fa fatica e a esaltare chi imbroglia? Come conciliare il sogno di diventare una ricercatrice o di lavorare in università con un figlio? Ho in testa la voce della mia capa che mi dice che lei ne ha fatto solo uno e l'ha cresciuto con l'aiuto dei genitori perché "con il nostro lavoro non hai alternative".
Come è possibile che oggi, nel 2011, si possa pensare di avere un futuro solo rinunciando a studio, passione e cuore e sperando di avere un sostegno dai genitori a tempo praticamente indeterminato?
Io sono un'ottimista: in fondo al cuore, spero, tutti i giorni, che lavorando di più, studiando di più, rinunciando di più, si possa davvero raggiungere lo scopo per cui tutti e due stiamo faticando e che questo ci permetta di andare avanti dignitosamente.
Eppure sono così spaventata

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